Grecia: 30.000 licenziamenti e riduzione dello stipendio del 20% nel pubblico impiego. La richiesta di UE e FMI non è molto diversa da quanto la BCE chiede all'Italia nella lettera inviata al Governo italiano il 4 agosto scorso.

Roma -

Questo il contenuto dell’accordo tra Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea per il salvataggio dalla bancarotta del governo greco.

Prontamente il governo di Atene mette a punto un piano per l'avvio di 30.000 pesanti licenziamenti e la riduzione dei salari del 20% nel settore pubblico: la parte più complicata del pacchetto di riforme chiesto appunto dall'Ue e dal Fmi per liberare i nuovi aiuti europei pari a 8 miliardi di euro.

Il piano prevede il collocamento in un fondo «di riserva per il lavoro» per circa 30.000 lavoratori, che verrebbero collocati in tale fondo entro la fine dell'anno, pagati al 60% del proprio stipendio per un anno e quindi licenziati.

La cosa più incredibile però si verifica subito dopo l’annuncio dell’accordo sui licenziamenti degli statali: alcune fonti UE diffondono dati di previsione preoccupanti che vedono la Grecia non raggiungere comunque l’obiettivo della riduzione del deficit al 6,8% del PIL nel 2011 e 2012.

Il Governo ellenico prova a dare la colpa alla recessione che risulta essere molto peggiore del previsto ma per i creditori a pesare è stata la mancanza di riforme strutturali.

La parola passa quindi alle Borse, chiamate a capire e far capire se quanto uscito dal consiglio dei ministri di Atene è un passo avanti verso la soluzione della crisi o un pericoloso passo indietro verso il default della Grecia.

Politici ed economisti ci dicono che l'Italia non è la Grecia.

In che senso?

"Pur essendo entrambi due penisole, i due paesi sono collocati geograficamente in modo diverso."

Per il resto, gli interventi economici di contenimento non sembrano essere molti dissimili.

Per superare la crisi serve un radicale, imponente e progressivo cambiamento del sistema economico e sociale.

Serve lanciare con ancora più forza la necessità di non pagare il debito, di nazionalizzare le banche e le aziende strategiche per il paese, di modificare strutturalmente i meccanismi capitalistici che sono alla base della crisi che sta investendo l'Europa e gran parte del mondo.

Gli appuntamenti e le iniziative che vanno in questa direzione e non invece verso una semplice alternanza/alternativa di poteri che prevedono le stesse ricette economiche di fondo, sono tutti da percorrere ed attraversare, per giungere alla manifestazione nazionale del 15 ottobre a Roma e di cui siamo promotori insieme ad altre forse sindacali e sociali ed alla quale invitiamo a partecipare e preparare attivamente tutte le lavoratrici ed i lavoratori, i pensionati, i disoccupati, i precari ed i migranti.