Bilancio Difesa: documenti e analisi particolareggiata sulle troppe spese per i sistemi d'arma e poche per il personale.

Roma -

Pubblichiamo alcuni documenti riguardanti lo stato di previsione della spesa del Ministero della Difesa.

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Nel nostro Paese i tagli alla Difesa sono stati pochi e sbagliati, come vedremo poi nel dettaglio abbattendo la scure sulla formazione del personale e la manutenzione dei mezzi, senza intaccare minimamente inutili sistemi d’arma o rivedendo il numero dei militari da impiegare.

Questi piccoli tagli allarmano comunque la lobby dell’industria bellica, che fa affidamento per i suoi affari sulla certezza dei finanziamenti governativi al sistema difesa. Non è un caso che il Sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto, proprio a margine dell’apertura di “Euronaval” 2010, la più grande fiera navale della difesa del mondo che si svolge a Parigi, abbia assicurato l’assenza di tagli nel nostro settore militare, prospettando solo razionalizzazioni ed eventualmente uno slittamento dei tempi per la realizzazione di nuovi mezzi, in particolare quelli navali. Il riferimento è alle dichiarazioni fatte dal Ministro della Difesa Ignazio La Russa che prima dell’estate aveva annunciato il taglio di 25 caccia Eurofighter della tranche 3b ed il rinvio dell’acquisto delle 4 Fregate FREMM mancanti per completare le 10 chieste dalla Marina, e che il Ministro ha ipotizzato di poter rivendere al Brasile.

Bilancio della Difesa per l’anno 2011


Per capire bene gli stanziamenti in bilancio nel 2011 occorre fare un piccolo passo indietro, in particolare esaminando agli effetti delle misure di contenimento della spesa pubblica contenute nelle D.L. n. 112/2008 (convertito con Legge 6 agosto 2008 n. 133) e nel D.L. n. 78/2010 (convertito con la Legge 30 luglio 2010 n. 122). Nel D.L. n. 112 del 25.6.2008, che abbiamo visto in maniera approfondita nel rapporto di due anni fa, sono stati apportati tagli al bilancio del Ministero della Difesa per 503,7 milioni di euro per l’anno 2009, 478,1 milioni di euro per il 2010 e 834,5 milioni di euro per il 2011. Nel D.L. n. 78 del 2010 dispone una riduzione lineare del 10% sulla dotazione delle spese rimodulabili che per il Ministero della Difesa prevedono una riduzione di 255.854.000 euro per l’anno 2011, 304.778.000 per l’anno 2012 e 104.786.000 a decorrere dall’anno 2013. Il risultato finale prevede uno stanziamento complessivo per il 2011 alla Difesa di 20.494,6 milioni di euro con un incremento rispetto al bilancio previsionale approvato dal Parlamento per il 2010 di 130,2 milioni di euro pari allo 0,6% ed un rapporto rispetto al P.I.L. dell’1,279%.

Dal 2008 il bilancio dello Stato è predisposto ed articolato per Missioni e Programmi ma noi lo analizzeremo con il sistema tradizionalmente usato internamente dalla Difesa, per Funzioni, così da garantire continuità con i precedenti rapporti. Il Bilancio della Difesa è suddiviso in Funzione Difesa che per il 2011 è cresciuta di 32,6 milioni di euro (+0,2%) per un totale di 14.327,6 milioni di euro; Funzione Sicurezza del territorio, che riguarda le spese per i carabinieri, quarta Forza Armata ma che in parte, per la sicurezza del territorio, dipendono dal Ministero dell’Interno, che ha avuto un incremento di 145,2 milioni di euro (+2,6%) per complessivi 5.740,3 milioni di euro; le Funzioni Esterne che riguardano compiti affidati alla difesa ma non rientrano nei compiti strettamente istituzionali, voce diminuita di 49,8 milioni di euro (-33,1%) per complessivi 100,7 milioni di euro; il Trattamento di Ausiliaria, cresciuto di 2,3 milioni di euro (+0,7%) per una spesa complessiva di 326,1 milioni di euro, che corrisponde alla corresponsione del trattamento di quiescenza al personale nella posizione di ausiliaria.

La Funzione Difesa contempla le spese per il Personale, per l’Esercizio, dove troviamo le spese per la formazione del personale e la manutenzione di mezzi e strutture e l’Investimento riguardante l’acquisizione di nuovi sistemi d’arma. In merito alla ripartizione percentuale delle spese per la Funzione Difesa sarebbe ottimale un rapporto tra 50% destinato al Personale e l’altro 50% ripartito tra Esercizio ed Investimento; sono molti anni tuttavia che le cifre del bilancio non rientrano in questi parametri ed in particolare per il 2011 le spese per il Personale ammonteranno al 65,8% mentre la somma dell’Esercizio e dell’Investimento giungerà appena al 34,2%, 10,1% della quale destinata all’Esercizio e 24,1% all’investimento. Le previsioni di spesa per il Personale per l’anno 2011 ammontano a 9.433,9 milioni di euro con una crescita rispetto all’anno precedente di 86,8 milioni di euro (+0,9%); tale cifra permette di avere una consistenza di personale militare pari a 178.571 unità e civile pari a 31.459. La situazione del personale presenta molteplici criticità: innanzitutto dopo aver fallito l’allineamento numerico dei vari gradi previsto nel modello a 190.000 unità deciso con il congelamento della leva obbligatoria ed il passaggio a Forze Armate totalmente professionali, si sta andando verso una forzata riduzione del personale. Questa riduzione però anziché intaccare le fasce in soprannumero, come quella dei marescialli, riduce principalmente quella dei militari di truppa, in particolare quelli a ferma prefissata. Si sta andando così verso un rischio potenziale di blocco generalizzato dei reclutamenti, creando di fatto uno strumento sempre più anziano e meno disponibile all’operatività; infatti una forte anomalia del modello esistente è quella di avere un numero di graduati superiore ai militari di truppa, con la conseguenza di avere più comandanti che comandati!

Considerando infine che l’attività principale delle nostre Forze Armate è costituita dalle missioni all’estero, che impegnano circa 8.300 militari, (pari a circa 25.000 uomini e donne con le rotazioni), un apparato di 180.000 unità sembra ancora più spropositato. Per l’Esercizio durante il 2011 sono stati stanziati 1.440,0 milioni di euro, con un decremento rispetto all’anno precedente di 320,4 milioni di euro (-18,2%); questi tagli non fanno altro che rendere più difficile rispondere agli standard internazionali di formazione del personale e di sicurezza dei mezzi, lasciando lo strumento militare al livello minimo necessario per far fronte agli impegni internazionali. Gli stanziamenti previsionali per il 2011 per l’Investimento, ammontano invece a 3.453,7 milioni di euro con una crescita di 266,3 milioni di euro (+8,4%).

Il Joint Strike Fighter del quale abbiamo parlato in maniera approfondita nel rapporto dello scorso anno, è un caccia multiruolo di quinta generazione realizzato in cooperazione da Stati Uniti (primo livello), Regno Unito ed Italia (secondo livelli) e Paesi Bassi, Canada, Turchia, Australia, Norvegia e Danimarca (terzo livello). Si prevede la costruzione di 3.173 aerei, dei quali 2.433 sono per gli USA, l’Italia ha deciso di acquistarne 131, anche se ancora ad oggi non è stato firmato il contratto.

Questo progetto presenta molteplici problemi, oltretutto prevedibili per imprese così faraoniche e velleitarie. Infatti sulla carta il JSF vuole essere un caccia di penetrazione con caratteristiche stelth, cioè bassa visibilità. Aumento dei costi, ritardi nella produzione, scarso numero di collaudi e veri e propri flop di pezzi collaudati sono costantemente e puntualmente denunciati dal GAO, Government Accountability Office, il Corrispettivo USA della nostra Corte dei Conti. Per capire meglio citiamo un solo dato un singolo aereo, partito da un costo iniziale di 81 milioni di dollari, è arrivato oggi a 131 milioni di dollari. A questo dobbiamo aggiungere che le ricadute industriali saranno minime, vista la scarsa
disponibilità di Washington a cedere il know-how del velivolo e così i ritorni occupazionali, visto che ci saranno da collocare tutti quelli che perderanno il posto per i tagli alla tranche 3B dell’Eurofighter. Malgrado tutto questo, con una velocità inusuale e sconvolgente il Senato prima e la Camera dei Deputati poi, hanno dato l’8 aprile 2009 il via libera al Governo per l’acquisto di 131 cacciabombardieri Joint Strike Fighter al costo di 12,9 miliardi di euro, spalmati fino al 2026 e la realizzazione a Cameri (Novara) di un centro europeo di manutenzione al costo di 605,5 milioni di euro, da consegnare entro il 2012.

Le fregate FREMM Il programma per la costruzione delle fregate FREMM è stato firmato da Italia e Francia nel 2004; tale progetto prevede la costruzione di 17 unità per la marina francese e di 10 per quella italiana. Il costo complessivo delle nostre Fregate è di 5.680 milioni di euro e la fine del progetto è prevista per il 2017, anche se tale data è stata fatta slittare dal nostro Governo di due anni. Il costo unitario medio di una fregata francese, tasse escluse ed alle condizioni economiche del gennaio 2003 ammonta a 280 milioni di euro, mentre per l’Italia è di 350 milioni di euro. Una domanda sorge spontanea, perché le fregate italiane costano di più? Abbiamo armamenti più sofisticati? Se si perché? Abbiamo esigenze strategiche diverse? Altra domanda da porsi è se avevamo veramente bisogno di dieci fregate, considerando che adesso siamo disposti a rivenderne quattro? Alcuni programmi però sono finanziati o cofinanziati con fondi del Ministero dello Sviluppo Economico ed in questa maniera non compaiono tra le spese della Difesa: si tratta tra gli altri del caccia Eurofighter, delle Unità navali della classe FREMM e dei veicoli blindati VBM 8x8 Freccia.

In particolare lo stato di previsione del Ministero dello Sviluppo Economico prevede uno stanziamento di 255 milioni per il Fondo per gli interventi agevolati alle imprese, che negli ultimi anni è stato destinato totalmente ad interventi per l’aereonautica e l’industria aerospaziale e duale, uno stanziamento di 1.483 milioni di euro destinato ad interventi agevolati per il settore aeronautico, uno stanziamento di 510 milioni di euro destinato ad interventi per lo sviluppo e l’acquisizione delle unità navali della classe FREMM. Alla fine nel 2011 si prevedono spese per nuovi sistemi d’arma, tra i fondi della Difesa e quelli del Ministero dello Sviluppo Economico per complessivi 5,7 miliardi di euro, una cifra non proprio trascurabile in un periodo di crisi economica e di tagli alla spesa pubblica in settori cruciali come la sanità, la ricerca, l’istruzione,la giustizia ed i trasporti.

Nello Stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze è presente poi uno stanziamento di 4,3 milioni di euro destinato al Fondo di riserva per le spese derivanti dalla proroga delle missioni internazionali di pace; in questa maniera, considerando che nel 2010 si è speso 1,5 miliardi di euro per le Missioni, mancano di fatto i finanziamenti. intanto durante la discussione in Commissione Bilancio alla Camera il Governo, in un suo maxi-emendamento, ha stanziato per il fondo per le Missioni internazionali 750 milioni di euro per la proroga della partecipazione italiana fino al 30 giugno 2011, confermando che, anche nel 2011, si dovrebbero spendere 1,5 miliardi di euro. Uno stanziamento di 645,8 milioni di euro è destinato alle spese per il sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica; una parte di esso è destinato al Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (AISI ex SISMI), nell’ultima ripartizione approvata (2008) al Ministero della Difesa vi erano destinati 143,1 Milioni di euro.

 


L’Italia alla fine per la “Difesa” spende quasi 24,4 miliardi di euro e non è poco; se anche se sottraessimo i fondi destinati all’Arma dei carabinieri saremmo sempre intorno ai 20 miliardi, circa 6 miliardi in più di quelli destinati alla funzione difesa, che viene presa come parametro per le spese militari da politici e militari nostrani, ma non all’estero, dove la Nato, il Sipri ed altri organismi soprannazionali includono tutte le spese destinate ai militari. Allo stato attuale l’Italia è impegnata in oltre 30 missioni internazionali dislocate in 20 paesi, che vedono coinvolti oltre 8.000 militari. Le missioni di maggior impegno sono quella in Afghanistan, dove sono impegnati circa 4.000 militari, in Libano dove sono presenti circa 1.700 soldati e i Balcani dove sono impegnati circa 1.600 militari. I fondi destinati alle missioni sono per oltre il 90% destinati alle spese delle Forze Armate; quel poco che resta è destinato alla cooperazione ed agli aiuti umanitari. Sulle missioni, ormai si porta avanti un rituale scontato: il Governo vara il Decreto Legge semestrale per il loro rifinziamento ed il Parlamento lo ratifica con voto solitamente bipartisan In nessuno di questi luoghi, avviene un dibattito per capire se gli obiettivi dati alle missioni siano stati raggiunti o meno ed in che tempi, con il rischio di mantenerle a vita. L’Afghanistan è l’esempio più lampante. Un conflitto iniziato il 7 ottobre 2001 con un costo economico (353 miliardi di dollari solo gli USA) ed umano spropositato, circa 50.000 vittime, delle quali 14.000 civili e 2.000 soldati Nato che, malgrado la continua crescita di presenza di militari e mezzi, si trova nel classico pantano. I talebani hanno ripreso ormai il controllo di buona parte del Paese, infiltrandosi anche nella capitale Kabul, la produzione di oppio procede imperterrita, il 70, 80% degli aiuti internazionali non è mai arrivato alla popolazione afgana, tanto che dal 2002 sono aumentate mortalità infantile, ignoranza e povertà.

L’Italia alla fine di quest’anno avrà sul campo 4.000 uomini, mezzi sempre più pesanti (cacciabombardieri AMX, elicotteri Mangusta, carro armato Dardo, blindati Freccia, ) e soprattutto avrà speso 750 milioni di euro, contro i 540 milioni di euro spesi nel 2009, portando la cifra globale a quasi 3 miliardi di euro. Visto che anche la presenza militare non garantisce l’arrivo degli aiuti alla popolazione, si potrebbe ritirare tranquillamente il contingente militare e destinare il costo del suo mantenimento direttamente per gli aiuti umanitari.

Politica di difesa e sicurezza nazionale del Governo

Come abbiamo visto le principali nazioni europee stanno attuando tagli ai loro bilanci e rivedendo il modello di Difesa, principalmente riducendo il numero dei militari e rivedendo le scelte sui sistemi d’arma. L’Italia, invece, taglia poco e male e soprattutto non avvia un dibattito serio sul Modello di Difesa cui dotarsi. Da un lato si portano avanti iniziative di facciata di dubbia utilità come la mini-naja e militari in città, dall’altra non si trovano i fondi per la formazione, la sicurezza del personale ed il mantenimento di mezzi e strutture. Da un lato aumentano le spese del personale verso i vertici e ed i sistemi d’arma e dall’altra si taglia sull’arruolamento delle truppa.

Con un blitz il Governo ha fatto approvare nella legge n.122/2010 ( Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria), provvedimento passato a colpi di fiducia, l’istituzione dell’iniziativa “Vivi le Forze Armate. Militare per tre settimane”. Tale iniziativa avrà un costo di 6.599.720 euro per l’anno 2010, 5.846.720 per il 2011 e 7.500.000 per il 2012. Si tratta di corsi di formazione a carattere teorico-pratico della durata di tre settimane, destinati a giovani tra i 18 ed i 30 anni che assumono lo stato di militari. Questo progetto, fortemente voluto dal Ministro della Difesa Ignazio La Russa, si pone l’obiettivo di avvicinare sempre più il mondo giovanile alle Forze Armate, per favorire una maggiore condivisione dei valori che da esse promanano ed una più approfondita conoscenza delle loro attività a beneficio della collettività nazionale e della stabilità internazionale.
Considerando tuttavia che non esistono problemi di arruolamento ed anzi il problema è casomai dare stabilità ai giovani che si sono arruolati con la ferma breve, l’iniziativa si connota come puramente di facciata e di propaganda.

E’ stata poi prorogata fino al 31 dicembre 2010 l’operazione “città sicure” con l’impiego di 4.250 militari per garantire la sicurezza nelle città; i militari sono equiparati agli agenti di Pubblica Sicurezza e possono arrestare, perquisire e sequestrare materiale. Percepiscono un’indennità pari a 26 euro al giorno per chi opera fuori dalla propria città e 13 euro per chi opera in sede. Dei 4250 militari, 1.095 sono impiegati per la vigilanza dei centri di identificazione degli immigrati, 1.467 per le pattuglie cittadine e 1.688 per la vigilanza dei siti sensibili come ambasciate, luoghi di culto, ecc.. I soldi spesi per tale operazione, circa 62 milioni di euro l’anno, se fossero investiti per pagare gli straordinari alle forze di polizia, ovvero di chi è preposto professionalmente a tale mansione, permetterebbero di raggiungere sicuramente risultati migliori. Per approvare la “Difesa servizi spa” il Governo ha fatto un vero e proprio blitz, giacchè dopo un anno di discussione in Parlamento del suo disegno di legge ha presentato in seconda lettura alla Camera un emendamento alla Finanziaria 2010 che poi è passata a colpi di fiducia.

All’articolo 2 della Legge Finanziaria 2010 sono stati inseriti i commi che vanno dal 27 al 36 riguardanti l’istituzione della “Difesa Servizi Spa” e la tutela di distintivi e marchi delle Forze Armate. Il comma 27 delega il Governo ad emanare un decreto per costituire la società per azioni denominata “Difesa Servizi Spa” per la quale si prevede che: “Ai fini dello svolgimento dell’attività negoziale diretta all’acquisizione di beni mobili, servizi e connesse prestazioni strettamente correlate allo svolgimento dei compiti istituzionali dell’Amministrazione della difesa e non direttamente correlate all’attività operativa delle Forze Armate, compresa l’Arma dei carabinieri….. è costituita la società per azioni ‘Difesa Servizi Spa’”. Il capitale sociale di partenza della società è stabilito in 1 milione di euro e le azioni della società sono interamente sottoscritte dal Ministero della Difesa, che esercita i diritti dell’azionista. Al Ministro della Difesa spetta anche la nomina del Consiglio di amministrazione della Società. Nei commi restanti si esplicitano i contenuti del decreto attuativo che dovrebbe essere varato entro 45 giorni, cioè lo statuto e la nomina dei componenti del Consiglio di amministrazione. Ad oggi non se ne hanno notizie.

Questa scarsa trasparenza e volontà di confronto legittimano dubbi e perplessità sulla reale portata del provvedimento. La mancanza di una dettagliata definizione completa dei compiti lascia spazio ad ipotesi che delineano un quadro molto inquietante. In primo luogo è vero che, escludendo dalle competenze della Spa le attività negoziali “direttamente correlate all’operatività delle Forze Armate”, dovrebbero essere preclusi gli armamenti; il mercato delle armi è però talmente vasto e spesso non automaticamente ascrivibile alla definizione di arma, basti pensare ad un camion ad un radar; c’è poi un indotto di pezzi di ricambio che non ha sicuramente un fatturato irrilevante, ma soprattutto essendo tutto collegato al settore bellico, non può assolutamente essere escluso dal controllo pubblico.

Nulla è stato detto sulla sorte del personale civile della Difesa nel caso in cui dovesse spostarsi alla Difesa Spa con un contratto privatistico. C’è il rischio che aumentino le esternalizzazioni dei servizi e che si vada sempre più verso appalti senza bando. Si potrebbe arrivare all’uso dei contractors, cioè compagnie private per la sicurezza. Pesa infine la gestione del patrimonio immobiliare, circa 4 miliardi di euro che stanno risvegliando appetiti speculativi. Cosa impedirà di trasformare una caserma in un centro commerciale o un faro in un albergo? Esattamente come sta succedendo a Roma, che nella scorsa finanziaria ha ricevuto immobili militari per un valore di 600 milioni di euro, al fine di ripianare il
debito. E’ chiaro che l’Amministrazione capitolina sta facendo di tutto per fare cassa con quegli immobili. Il problema di fondo è che il concetto privatistico poco si addice ad un settore delicato e strategico come quello della Difesa. Sono molti anni che la Difesa cerca di “fare cassa” con la vendita dei beni immobili non più utili alle nuove strategie, ma spesso senza risultati apprezzabili. L’ultimo tentativo è contenuto nella legge n. 133/2008 che permette al Ministero della Difesa in autonomia l’attività di alienazione, permuta, valorizzazione e gestione dei beni immobili ad esso affidati. Si ipotizza una dismissione di circa 1.000 infrastrutture, di cui 200 caserme.

Considerando che il demanio militare è di proprietà statale, tale possibilità costituirebbe un privilegio per la Difesa. Molte infrastrutture oltretutto hanno una valenza storica ed ambientale che andrebbe tutelata diversamente e molti immobili dopo diversi anni di aggravio per le comunità dove sono dislocati, dovrebbero essere restituiti gratuitamente come “risarcimento” tramite gli enti territoriali locali. La crisi economica ha portato il Consiglio Superiore di Difesa, presieduto dal Capo dello Stato, a decidere di raccordare gli impegni dei nostri militari con le risorse economiche disponibili. Per questo, nella seduta del 29 gennaio 2009, su proposta del Ministro della Difesa Ignazio La Russa, è stata istituita la “Commissione di alta consulenza e studio per la ridefinizione complessiva del sistema di difesa e sicurezza nazionale”. Tale Commissione si è riunita per la prima volta il primo aprile 2009, impegnandosi a presentare i risultati del proprio lavoro entro il successivo 31 luglio. Ad oggi nessuno è riuscito a leggere il rapporto di tale Commissione.
Mentre procede con molte difficoltà un’ipotesi di riforma delle Forze Armate, come al solito le modifiche avvengono nei fatti. I vertici militari, preso atto dell’impossibilità di aumentare le spese militari a loro piacimento, lavorano per orientare lo strumento militare al suo interno. Come abbiamo visto salgono le spese per l’investimento, per acquistare sistemi di dubbia utilità come il nuovo cacciabombardiere JSF; contestualmente si tagliano i fondi per il personale di truppa, senza intaccare i vertici. Andando proprio nella strada opposta rispetto alle priorità dichiarate, infatti se l’attività principale è il peacekeping, servono uomini preparati e non cacciabombardieri. Ma questo è un dibattito che questo Parlamento forse non sente il dovere di affrontare!

Eppure come è stato dimostrato da una recente ricerca dell’Università Bocconi commissionata da Science for Peace, se invece che sulle armi si investisse per esempio su sanità ed energie rinnovabili raddoppierebbero i posti di lavoro e aumenterebbe di una volta e mezza lo sviluppo economico in generale. Un motivo in più per razionalizzare lo strumento militare e liberare risorse per altri settori. (Analisi a cura di "Sbilanciamoci")