USA: BARAK OBAMA IMPUGNA LA SCURE E TAGLIA 450 MILIARDI DI DOLLARI PER LE SPESE MILITARI. PERCHE' IN ITALIA NON E' POSSIBILE?

Roma -

Con il ritiro delle truppe dall’Iraq e dall’Afghanistan, nel 2013 la spesa militare USA tornerà ai livelli del 2007, scendendo in soli due anni da 530 miliardi a 472, tornando così a una dimensione “pre-11 settembre”.

 

E’ prevista la riduzione da 11 a 10 il numero di portaerei, la riduzione delle truppe totali da 570.000 a 483.000 - il Pentagono ha già mandato a casa 27 fra generali e ammiragli negli ultimi 10 mesi e conta di arrivare a quota 102 - e la riduzione del numero dei cacciabombardieri F-35.

 

In casa nostra, si è affacciato un inizio di dibattito sul peso delle spese militari sullo stesso bilancio pubblico e sulla possibilità di riduzioni del bilancio della difesa, con particolare riferimento al programma di acquisto di 131 caccia F35 Strike fighter (spesa prevista intorno ai 15 miliardi di Euro).

 

Purtroppo non ci pare sia davvero un dibattito serio, perché non sembra affrontare le questioni fondamentali e politicamente più rilevanti riguardo il bilancio militare: a cosa servono queste spese, il loro legame con i debito pubblico e l’intreccio tra imprese, banche e forze armate.

 

Non ci convince, anzi ci preoccupa, che questo terreno venga affrontato da due punti di vista per noi insufficienti o addirittura fuorvianti:

 

- la polemica sulla “casta militare”, indubbiamente esistente, ma che rischia di mettere in secondo piano le più preoccupanti responsabilità politiche e di banche e imprese (con Finmeccanica in primo piano);

- il rischio di assecondare la tendenza alla “razionalizzazione” delle spese militari, per avere comunque forze armate più efficienti.

 

Ma efficienti per fare cosa?

 

Due le questioni connesse: l'aumento del budget della difesa, malgrado la riduzione di altri capitoli di bilancio, come conseguenza di un rilancio dell'uso della forza militare come strumento connesso alla presenza economico-politica internazionale (come già recitava il Nuovo modello di difesa del 1991) e il sostegno pubblico all'industria bellica, in particolare alla galassia di Finmeccanica.

 

Con un debito pubblico di oltre 1900 miliardi di euro, l’Italia continua ad avere un bilancio militare che ci ha fatto spendere, secondo i dati ufficiali negli ultimi 10 anni, più di 200 miliardi di euro per le “guerre di pace”, ma ben 280 miliardi secondo il Sipri.

 

E' chiaro che queste forte spesa militare ha contribuito alla crescita del deficit pubblico e che il bilancio della difesa ha subito tagli decisamente ridicoli o inesistenti, ancora più scandalosi se confrontati con quelli subiti dai servizi pubblici.

 

L'altro elemento è quello del sostegno pubblico mascherato all'industria bellica.

 

L'industria militare è per sua natura un settore che dipende dalla commesse pubbliche, e anche se in questi ultimi 20 anni si sono susseguiti accordi internazionali, acquisizioni, joint-venturs, una società come Finmeccanica non potrebbe sviluppare il settore militare senza forti commesse pubbliche e senza un sostegno diretto e indiretto alle proprie produzioni.

 

Per queste ragioni, in un contesto di crisi economica, la Fincantieri e la stessa Finmeccanica sono in procinto di dismettere completamente la produzione civile per dedicarsi completamente a quella militare.

 

Il sostegno a questa impresa a capitale prevalentemente pubblico si è intrecciata nel nostro paese alle politiche di dismissioni industriali, agli scandali legati alla «cricca-economy» e in generale al legame tra politiche neoliberiste e guerre.

 

Come fare quindi per ridurre le spese militari?

 

Arriviamo al punto della questione.

 

Le spese militari italiane possono drasticamente essere ridotte come conseguenza di una scelta politica precisa che dichiara la volontà di un “modello difesa” pensato e strutturato per non fare la guerra.

 

Dobbiamo chiedere la trasformazione dell’attuale modello e l’utilizzo degli stanziamenti a fini civili: le somme impiegate in dieci anni di missioni militari avrebbero permesso, ad esempio, la costruzione di 3.000 nuovi asili nido per un’utenza di 90.000 bambini e creato 20.000 posti di lavoro.

 

Oppure si sarebbero potuti installare 10 milioni di pannelli solari per 300.000 famiglie con la creazione di 80.000 posti di lavoro o avrebbero permesso la messa in sicurezza 1.000 scuole per 380.000 studenti, creando altri 15.000 posti di lavoro.

 

Il primo passo da fare è la rinuncia alla spesa di 15 miliardi di euro per l'acquisto dei nuovi cacciabombardieri F35 Loockheed: l'Italia se li può ancora risparmiare così come hanno fatto Norvegia, Israele e Regno Unito tagliando i programmi di acquisto e il Pentagono ha ridimensionato le richieste dopo che il Woshinton Post ha definito il progetto F35 "un disastro".