Rivedere le priorità del nostro Paese: uscire immediatamente dal programma Joint Strike Fighter e rinunciare all'acquisto dei caccia F-35.

Roma -

Ogni miliardo speso o investito nella produzione degli F35 corrisponde alla rinuncia a 17 mila posti di lavoro (studio ANCE).

Le recenti stime indicano in circa 52 miliardi di euro il totale dei fondi che l'Italia arriverebbe a destinare all'F35 nel corso di tutto il suo ciclo di vita, con un costo iniziale di solo acquisto e sviluppo che arriva ai 14 miliardi di euro per i 90 esemplari previsti.

In un momento di grave crisi per tutto il Paese, troviamo fuori luogo che il Ministro/Ammiraglio Di Paola continui imperterrito nei suoi monologhi pubblici a difendere l'F-35 e a dichiarare che l'Italia non ripenserà al programma Joint Strike Fighter.

E' chiaro l'obiettivo dell'ex ministro: condizionare sul piano internazionale le attività del prossimo Governo e vincolarlo alla legge 244/2012 "revisione dello strumento militare" approvata a dicembre che autorizza le Forze Armate a riorganizzarsi in 12 anni "in proprio" con una delega in bianco.

La legge fortemente voluta da Di Paola permette di rivedere il modello organizzativo e le infrastrutture introducendo il principio dell’invarianza della spesa dove i risparmi, che taglieranno anche 10.000 posti di lavoro per il personale civile del dicastero, resteranno alla Difesa con una “flessibilità gestionale” che l’autorizza a spendere come vuole e, come declamato chiaramente dalla legge delega, a destinarle per l’acquisto di nuovi armamenti se facente parte di progetti già varati.

Il programma Joint Strike Fighter è uno di questi!

Dopo quattordici anni di spese pazze, il piano militare dovrebbe essere annullato solo per i continui rilievi negativi del Pentagono ed i ripensamenti di molti paesi partner nel progetto.

E' recente la notizia che il Dipartimento della Difesa Usa ha lasciato a terra per precauzione tutti gli F35 a sua disposizione dopo che un controllo di routine ha rivelato una frattura in un'elica del motore.

A questo progetto della britannica Lockheed Martin, partecipano anche la Alenia Aermacchi, la Galileo Avionica, la Selex Communications, la Elsag Datamat e la Otomelara di Finmeccanica.

Gli interessi in gioco sono molteplici e le pressioni politiche ed economiche incrociate pretendono che siano le casse pubbliche a pagare, quindi a svantaggio dei cittadini e delle pensioni degli esodati, dei fondi e dei materiali per le scuole, dei soldi per garantire la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, dei fondi di sussidio e sussistenza per persone con disabilità.

Dopo gli interventi e le dichiarazioni di vari leader politici e una continua crescita del fronte del No F35 nell’opinione pubblica, il disagio ed il nervosismo del Ministero della Difesa si è manifestato giungendo a scomodare il Sottosegretario di Stato alla Difesa Gianluigi Magri che ha fatto visita allo stabilimento Alenia Aermacchi all’interno dell’Aeroporto Militare di Cameri - Novara - e convocando in fretta e furia stampa e televisioni per cercare di spiegare le ragioni dell'acquisto dei costosi F-35.

I dati diffusi e riportati dai media, soprattutto sulla parte occupazionale, confermano che i sempre "ricordati" 10.000 posti di lavoro non saranno “nuovi” ma risultano essere solo ricollocazioni dalle vecchie linee di produzione degli Eurofighter (posti di lavoro magari a tempo impiegando il personale non pienamente), quelli sicuri negli stabilimenti di Cameri non arrivano nemmeno alle 2000 unità mentre per i restanti si parla fumosamente di “indotto” senza mai definire la durata di tali contratti.

E' fondamentale quindi chiederci quali compiti e ambiti debba avere la Difesa di questo paese e, ancora di più, quali soiano le priorità per l'Italia e per i suoi cittadini.