L'incontro del 18 settembre a Gabinetto Difesa sul progetto di riforma dell'Area Industriale.

Nazionale -

L’incontro con le OO.SS. Nazionali, presieduto dal Sottosegretario On.le M.VERSASCHI e che ha visto la partecipazione anche del Sottosegretario Sen. FORCIERI, doveva segnare principalmente l’avvio del confronto e dell’approfondimento sullo studio presentato per la soluzione delle problematiche relative agli Arsenali e agli Stabilimenti Militari dell'Area Industriale.

Di fatto, è stato ampiamente disatteso per una precisa e ben preordinata scelta di alcune sigle sindacali di non ritenere necessario approfondire gli argomenti nello specifico in quanto considerati già conosciuti, ma procedere con argomentazioni tese a chiarire un presupposto fraintendimento, avvenuto nel precedente incontro e dalle dichiarazioni del Senatore Forcieri rese in occasione dell’audizione fornita il 1° agosto alla Commissione Difesa della Camera, utile però ad evitare qualsiasi pronunciamento sul progetto di ristrutturazione.

Nel concreto però, il Gabinetto Difesa ha consegnato copia del Decreto del Ministro della Difesa, datato 11 settembre, con il quale si costituisce il Comitato Area Industriale Difesa (CAID) “incaricato di promuovere le attività connesse con l’attuazione delle linee d’azione individuate dal Gruppo di Lavoro nominato con D.M. 30 marzo 2007, allo scopo di consentire la transizione delle Strutture verso nuovi modelli organizzativi”. (in allegato)

Il nostro intervento intendeva illustrare all’Amministrazione il documento di analisi (in allegato), consegnato nelle ore precedenti l’incontro e concordato con delegati e lavoratori di molti enti coinvolti dalla riforma, nel quale evidenziamo come il processo di ristrutturazione presentato porterà al definitivo smantellamento degli Arsenali e Stabilimenti Militari, alla perdita del controllo pubblico sugli armamenti e come, nella sostanza, esprimiamo il rifiuto all'impostazione generale anche in termini giuridici, affermando la richiesta di un impegno forte, con la messa in campo di strumenti e risorse straordinarie per riportare in piena efficienza questi settori, con i dovuti aggiustamenti, nell’ambito dell’attuale ordinamento.

Siamo fortemente preoccupati per la mancanza di chiarezza e per l’atteggiamento di attesa manifestato negli incontri poiché, proprio in virtù di questo, l’Amministrazione da tempo e in modo velato ha già avviato il progetto di riforma.

La RdB chiamerà i lavoratori a sostegno delle nostre proposte attraverso manifestazioni pubbliche per il rilancio dell’Area Industriale, per la garanzia del proprio posto di lavoro e della natura pubblica dello stesso.

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Osservazioni nel merito dello studio proposto per la soluzione delle problematiche relative agli Arsenali e Stabilimenti Militari dell'Area Industriale

 Il documento consegnato alle OO.SS. analizza in premessa la situazione di degrado e di crisi in cui versa l'Area Industriale della Difesa, analisi per larghi tratti condivisibile nella parte in cui evidenzia il progressivo disimpegno in termini di risorse finanziarie per gli investimenti e per il funzionamento di stabilimenti ed arsenali, ma che segna però un notevole punto di caduta nel merito delle responsabilità che tale situazione hanno determinato, responsabilità che investono anche membri della commissione che ha elaborato la proposta.  

Il completo insuccesso della precedente "riforma Andreatta", ormai chiaro nella sua evidenza, avrebbe meritato un approfondimento più dettagliato rispetto a quanto esplicitato, in considerazione dell'arco temporale in cui tale riforma si è sviluppata ed in particolare nel merito dei provvedimenti fallimentari adottati per l'Area Industriale, delle negative ricadute sopportate dal personale e della spesa sostenuta per il supporto degli stessi anche in termini di costi per le  consulenze.  

A nostro avviso, lo studio proposto difetta di un concreto riferimento all'attuale modello di Difesa e ai suoi sviluppi prossimi, in base alle scelte che il vertice politico e militare intende adottare, indispensabile per comprendere gli intendimenti sulle future prospettive di Arsenali e Stabilimenti.  

Se l'attività delle Forze Armate e le funzioni del nuovo esercito "professionale" saranno basate e si caratterizzeranno essenzialmente sugli interventi e missioni all'estero nell'ambito di quanto disegnato dal Nuovo Modello Difesa e dalla filosofia che lo ha ispirato, nonché dall'adesione ai nuovi principi costitutivi della NATO che a nostro avviso sono in forte contrasto con il dettato costituzionale, è evidente che la ristrutturazione dell'Area Industriale della Difesa risentirebbe dei modelli attuati dagli altri eserciti con i quali si collabora ed in particolare quello statunitense.  

Questa necessità di uniformarsi a realtà dove persino gli aspetti legati alla logistica e al supporto delle Forze Armate sono privatizzati, comporterebbe nei fatti il ricorso al privato per le manutenzioni, l'unica funzione ancora svolta dalla nostra Area Industriale, e tutti i provvedimenti indicati nella proposta, in particolare quelli della prima fase (all'interno dell'attuale modello ordinativo), risulterebbero senza prospettive vista la volontà di assumere sul campo un modello che comporta il superamento del ruolo pubblico.  

L'ipotesi sopra descritta trova ulteriore conferma nella stessa premessa, quando si afferma che gli investimenti in termini di risorse umane ed economiche, presumibilmente e nell'ipotesi più ottimistica, ricalcherebbero il trend degli ultimi anni, non invertendo in concreto una tendenza che nel tempo ha prodotto quel decadimento delle infrastrutture, degli organici e delle professionalità lamentati nella proposta e quando si da per scontato che anche in presenza di risorse aggiuntive queste non permetterebbero il superamento degli attuali “limiti strutturali” e quindi la possibilità di rendere efficiente l’Area Industriale.  

Viene evidenziato inoltre il gap formativo accumulato negli anni dal personale in servizio a fronte di uno strumento militare in continua evoluzione e che, nell'ultimo decennio, ha assunto forme tecnologiche sempre più complesse, per ribadire la necessità di ulteriore integrazione con il mondo industriale, che in base alle considerazioni precedentemente sopra esposte e senza il recupero del deficit formativo, si concretizzerebbe in realtà in una cessione allo stesso di quelle attività ancora patrimonio di Arsenali e Stabilimenti.  

Il riferimento poi alla necessità di addivenire a un diverso contratto di lavoro per il personale, più idoneo per un'Area Industriale a fronte della necessità di ulteriori meccanismi di flessibilità ed incentivazione, risulta essere inopportuno poiché vengono trascurati tutti quei meccanismi di flessibilità introdotti dai contratti del comparto, non ultimo e soprattutto nel C.C.N.L. 2006-2009, che garantiscono ampi margini di elasticità sia per quanto attiene l'articolazione dell'orario di lavoro e delle giornate lavorative (turnazioni fino a 12 ore, incremento delle ore lavorative giornaliere in particolari periodi dell'anno, ecc.) sia nel merito delle mansioni esigibili per ciascun profilo professionale, conseguenza dell’applicazione del Nuovo Ordinamento Professionale che attualmente amplia la gamma delle attribuzioni un tempo ben differenziate e prevede un sistema classificatorio sul modello E.P.E..  

 Per quanto riguarda le incentivazioni, in questi anni quote considerevoli degli esigui aumenti contrattuali e dei risparmi di gestione sul personale sono stati dirottati sui Fondi Unici di Amministrazione per incentivare la produttività e ad oggi rappresentano una percentuale consistente di risorse se rapportata agli stipendi tabellari.  

Quanto precede denota o una scarsa conoscenza delle normative contrattuali, cosa che ci rifiutiamo di credere, o la volontà di agitare strumentalmente infondate problematiche per arrivare a modelli contrattuali che favoriscano l'espulsione del personale dichiarato in esubero e consentano assunzioni con rapporti di lavoro sempre più precari ed instabili.  

 Nel merito di quanto citato nel documento relativamente alla seconda fase della ristrutturazione per una nuova organizzazione delle attività produttive degli Arsenali e Stabilimenti Militari attraverso la trasformazione in E.P.E. - società mista pubblico privata -, esprimiamo forti perplessità anche sul piano giuridico ed amministrativo tali intendimenti.  

Nella proposta si espongono soluzioni ispirate al principio di economicità (art.1 Legge 241/90), ma va rilevato che, in contrasto con tale principio, le soluzioni proposte non derivano dalla concreta applicazione di modelli matematici o previsionali o di analisi economica finanziaria proiettata nel breve, medio e lungo termine né  si fa  riferimento a concreti volumi finanziari di investimento.  

 Le premesse delle scelte operative sono del tutto teoriche come quando si afferma che il personale va gestito con l'applicazione di criteri privatistici, in quanto l'attuale status giuridico limiterebbe la produttività, ovvero si afferma che gli investimenti potrebbero derivare da dismissioni senza alcuna specifica indicazione degli elementi su cui si fondano tali asserzioni.   In buona sostanza, si vuol dire che l'economicità delle soluzioni prescelte non solo non è puntualmente dimostrata ma appare riferita alla forma stessa dell'E.P.E. e della S.p.a. mista come se tali forme di organizzazione possano garantire già solo "nominalmente", in quanto contenenti elementi di privatizzazione, garanzie di economicità.

Ma privatizzazione non sempre è sinonimo di efficienza e produttività.  

E' indispensabile quindi ripensare il metodo di analisi delle questioni perché se è vero che le forme giuridiche alternative di gestione sono assai limitate dal quadro normativo, è anche vero che le scelte di carattere amministrativo devono essere motivate in ogni caso non solo con riferimento all'economicità formale ma a principi concreti di buon andamento (art.7 Cost.) con ampia e puntuale motivazione in cui sia dimostrata l'effettiva utilità di una diversa scelta gestionale.  

Occorre dunque che una proposta contenga quantomeno elementi indicativi di costi di gestione e di volume di investimenti necessari e specifiche indicazioni non solo circa il tempo necessario per il presunto raggiungimento dell'obiettivo dell'efficienza ma anche sugli eventuali costi in termini di risorse umane e minori garanzie per il personale ovvero sull'eventuale miglioramento economico e strutturale per lo stesso. Pertanto, sul piano della motivazione, le proposte non sembrano allo stato praticabili in quanto prive di elementi di valutazione conformi ai principi di buon andamento ed economicità.  

Al fine di operare una scelta è necessario uno studio con una più ampia struttura motivazionale, con approfondimenti concreti e puntuali, che la proposta invece indica come elemento ancora da costruire (si veda pag. 62 ove si dichiara la necessità di uno studio preventivo tramite un'analisi con criteri industriali dei costi attuali per la S.p.a. mista e l'allegato 9 in cui per poter costituire l'E.P.E. si dichiara la necessità della preventiva dimostrazione del soddisfacimento del requisito minimale dell'equilibrio economico).  

 La proposta è una illustrazione di un percorso non ancora iniziato, bisognoso di approfondimenti tecnici e finanziari tramite l’ausilio di esperti.  

Non vi sono ancora elementi che consentano una discussione che orienti scelte o decisioni che risulterebbero, proprio alla luce di quanto contenuto nel documento, assolutamente prive di presupposti.  

Sorgono inoltre forti dubbi sulla praticabilità giuridica e funzionale delle proposte sia nel caso di costituzione dell'E.P.E. (per la quale si prevede una successiva trasformazione in società ovvero la potestà di costituire società operative sul mercato), che nel caso di costituzione di Società miste dove sussistono serie perplessità che l'operatività nel mercato di tali soggetti sia compatibile con i principi della Comunità Europea in materia di concorrenza e libero mercato e con i principi affermati dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea.  

Tale decisivo aspetto non è trattato nella proposta che anzi dà indicazioni non convincenti circa i presupposti giuridici delle forme prescelte.  

Nell'allegato 9 si afferma che la fattibilità giuridica delle società miste risulta consolidata sulla base dell'art. 22 della L.142/90 e della Legge 448/2001. L'art. 22 della legge 142/90 risulta però abrogato dal T.U. 267/2000 e comunque anche la successiva e diversa norma contenuta nel detto T.U. in materia di affidamento di servizi pubblici a società non può riguardare lo Stato ma solo gli Enti locali.  

L'art. 29, comma 1 della legge 448/01, che peraltro dagli stessi redattori della proposta viene ritenuto allo stato inapplicabile per mancata emanazione di un decreto ministeriale di completamento, consente alle Amministrazioni di costituire soggetti di diritto privato per gestire servizi precedentemente svolti dalle stesse amministrazioni ma non risolve la questione se tali soggetti possano poi operare sul mercato ed in favore di soggetti diversi dall'amministrazione che li ha costituiti. L'operatività sul mercato e per soggetti diversi dalla P.A. non sembra però potersi affermare sia per ragioni di coerenza normativa che per il rispetto dei principi normativi e giurisprudenziali della Comunità Europea.  

Sul piano normativo il recente "decreto Bersani" (art. 13 D.L. 223/2006) per le società miste degli enti locali prevede l'impossibilità di svolgere attività per soggetti diversi dall'Ente costituente e la nullità di eventuali contratti stipulati in violazione della legge e quindi il divieto di prestazioni per privati con obbligo di collocamento sul mercato di eventuali attività non conformi in essere.  

E’ vero che il decreto è riferito a società di enti locali ma ciò appare dovuto al fatto che il fenomeno è da regolamentare in tale settore e comunque il decreto afferma un principio normativo chiarissimo. Ma andando oltre tale notazione normativa, ve evidenziato che in merito alle società miste pubblico/private la Corte di Giustizia della Comunità Europea ha chiaramente affermato che le stesse non possono operare sul mercato né partecipare a gare.  

Nella sentenza 11 febbraio 2005 nella causa C26/03 la Corte ha infatti affermato che la natura mista di una società pregiudica il perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico perché qualunque investimento di capitale privato obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati e persegue obiettivi di natura altra.  

In sostanza, con tale decisione la Corte ha di fatto chiuso la possibilità concreta e l'utilità della costituzione da parte di organismi pubblici di società miste sancendo l'impossibilità che le stesse possano entrare nel mercato ed operarvi, ma ha anche escluso che un ente pubblico, sia pur con gara, possa affidare la gestione di un settore pubblico ad un soggetto in cui sia presente capitale privato. Le conseguenze di tale sentenza sono state regolate dal decreto Bersani per gli Enti locali ma la sentenza stessa è direttamente vincolante per lo Stato.  

Di recente il Consiglio di Stato (parere II sezione 18/04/07 in merito alla AGEA, società mista per il sistema informativo agricolo che si sarebbe dovuta costituire in forza di una norma di legge) ha rivisitato il problema sostenendo che le società miste sono ormai incompatibili con i principi della Comunità Europea ma indicando quale soluzione per procedere alla costituzione di società miste nel rispetto di tali principi lo svolgimento di una gara per la scelta del socio privato in cui la durata del rapporto sociale sia limitata nel tempo dovendosi poi ripetere la gara decorso il termine di tempo per il quale era stata prevista la partecipazione.  

Si tratta di una soluzione di dubbia applicabilità e comunque il Consiglio di Stato non supera il pacifico divieto per una società mista di operare sul mercato.  

Alla luce dei principi sopra delineati, è dunque esclusa non solo la possibilità di costituire società miste ma anche l'utilità di un'eventuale costituzione nei limiti di cui al parere del Consiglio di Stato, atteso che la società non potrebbe operare sul mercato acquisendo utili che invece la proposta indica come elemento essenziale della scelta di un tale sistema di gestione.

Questa Organizzazione Sindacale, in sintesi e alla luce di quanto sopra esposto, non può condividere il processo di ristrutturazione degli Arsenali e Stabilimenti dell’Area Industriale proposto, ribadendo la richiesta di un impegno forte, con la messa in campo di strumenti e risorse straordinarie per riportare in piena efficienza questi settori, con i dovuti aggiustamenti, nell’ambito dell’attuale ordinamento.   Esprimiamo inoltre forte preoccupazione per la drammaticità della situazione in cui versano gli stabilimenti transitati in Agenzia Industrie Difesa e le ipotesi per loro previste che sembrano andare verso una definitiva dismissione degli stessi, ad esclusione di lavorazioni di nicchia indirizzate verso la S.p.A., con la messa in mobilità di gran parte dei lavoratori.  

Chiediamo pertanto che per questi enti si preveda il rientro alle dipendenze dirette del Ministero della Difesa, non trascurando peraltro il risparmio legato al superamento dell’A.I.D.  

Vogliamo ulteriormente evidenziare le responsabilità di quanti, politici e dirigenti preposti alla conduzione di Arsenali e Stabilimenti, non si sono adoperati per contrastare il deterioramento, il degrado e l’abbandono dell’Area Industriale ma hanno contribuito al  fallimento dell’attuale modello per poi proporre soluzioni fuori dall’attuale ordinamento ed in qualche caso candidarsi per il controllo e la gestione del nuovo processo.   Pertanto, oltre alle iniziative che riterremo opportuno mettere in atto per contrastare gli intendimenti contenuti nella proposta e la volontà che ne emerge di “scaricare” l’Area Industriale, chiederemo attraverso una raccolta di firme, in applicazione dell’art.50 della Costituzione, l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare che faccia piena luce sulle responsabilità politiche e manageriali anche di carattere individuale di tale situazione.  

Informeremo e chiameremo i lavoratori a sostegno delle nostre proposte attraverso manifestazioni pubbliche per il rilancio dell’Area Industriale, per la garanzia del proprio posto di lavoro e della natura pubblica dello stesso.

Roma, 18 settembre 2007