Polo di Mantenimento di Piacenza: pluralismo sindacale, un sogno.
A Piacenza, nel giro di pochi anni, si perderanno 700 posti di lavoro nell’ex arsenale che si va spegnendo così come accade in altri settori del pubblico impiego, di “morte naturale”, cioè senza rimpiazzare il personale che va in pensione.
L’arsenale è una risorsa per il territorio piacentino non solo per il consistente numero di posti di lavoro che può garantire ma anche per tutto l’indotto del lavoro prodotto dalle piccole e medi e imprese che lavorano per l’ex arsenale.
Ieri in Piazza Cavalli le RSU dell’Arsenale e i sindacati confederali hanno distribuito un volantino per sensibilizzare la popolazione in cui esortavano tutti ad unirsi tutti per difendere questo importante bacino produttivo della nostra città.
Ma mentre si chiedeva unione e compattezza ai cittadini si rifiutava l’appoggio degli altri sindacati presenti all’interno del Polo di Mantenimento pesante.
Nei precedenti incontri con l’Amministrazione Comunale con cui si era dapprima deciso di spostare il maxi stabilimento in località le Mose e poi di nuovo un nulla di fatto, l'unica costante è stata quella che al tavolo di trattativa erano sempre e soltanto presenti CGIL, CISL e UIL.
Oltre ai sindacati conflittuali, anche le RSU dei lavoratori non riescono ad accedere a quei tavoli, così come ben documentato anche da un articolo di Libertà di circa un anno fa (20 luglio 2010) che intitolava: “Le RSU dei lavoratori escluse dal “tavolo” protestano sotto le finestre del Sindaco”.
Questi sindacati che urlano e manifestano cercando l’unità dei cittadini e istituzioni mentre rifiutano l’appoggio di altri rappresentanti dei lavoratori ai tavoli, non sono credibili.
Forse i sindacati confederali non gradiscono avere nelle trattative occhi e orecchi indiscreti che potrebbero capire che forse ci sono altri interessi da difendere di quelli dei lavoratori.
Se poi inseriamo questa vicenda locale nel contesto più ampio si capisce meglio come la distruzione della democrazia sindacale a favore di un più fallimentare e consolidato monopolio creato dalla “triplice” sia il vero obiettivo da raggiungere.
Proprio martedì sera è stato firmato un accordo tra Confindustria, CGIL, CISL e UIL con cui viene definitivamente cancellato il Contratto nazionale di Lavoro, o meglio, rimane semplicemente un velo di copertura che dovrebbe evitare le efferatezze più brutali, ma è in totale balia della contrattazione aziendale che può stravolgerne legittimamente il contenuto al fine di adattarlo alle esigenze delle aziende in cui si deve applicare, così come accaduto alla Fiat di Marchionne.
E per farlo basta il 50% più uno delle RSU, la maggioranza democratica sembrerebbe salva, peccato che non c’è, nell’accordo, nessun accenno alla scomparsa della riserva di un terzo dei seggi delle RSU ai firmatari di contratto, e così il 50% diventa immediatamente 33% e così un terzo delle RSU decide sul contratto aziendale che deroga quello nazionale e nessuno può metterci bocca, tantomeno i diretti interessati, cioè le lavoratrici e i lavoratori che quell’accordo dovranno digerire.
Non bisogna poi farsi ingannare dalla scelta falsamente democratica della “conta” dei sindacati inserita nell’accordo.
Questa infatti si basa sulla certificazione da parte delle aziende delle adesioni, tramite ritenuta sindacale, dei lavoratori ad una sigla sindacale e dalla trasmissione di queste all’INPS.
Le aziende sono quindi le uniche titolate a certificare gli iscritti ai sindacati (sic!) e lo faranno comunicando i dati delle deleghe che, lo ricordiamo agli smemorati, non sono automatiche.
Le aziende infatti possono decidere, e lo fanno sempre nei confronti dell’USB e degli altri sindacati di base, di non concedere il diritto alla ritenuta in busta paga della quota sindacale.
Se poi tutto questo non bastasse il testo dell’accordo recita esattamente: ”Per la legittimazione a negoziare è necessario che il dato di rappresentatività così realizzato per ciascuna organizzazione sindacale superi il 5% del totale dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro” non bisogna quindi avere il 5% dei voti e il 5% degli iscritti calcolato sui lavoratori complessivamente sindacalizzati come funziona oggi nel pubblico impiego, ma il 5% si calcola sul totale dei lavoratori della categoria!
Siamo alla definitiva conclusione del sogno di avere in Italia una qualche pur minima forma di pluralismo sindacale.
Nessuna organizzazione che non siano quelle firmatarie di questo accordo potranno mai raggiungere, in mancanza di migliaia di funzionari, in mancanza di quote sindacali, in mancanza di spazi democratici un tale livello di presenza in categorie che contano centinaia di migliaia di addetti in centinaia di migliaia di piccolissime, piccole e medie imprese, che questa è la dimensione produttiva del nostro Paese!
Ma siccome la questione della democrazia è questione molto seria e il libero esercizio della volontà popolare è recentemente tornato alla ribalta dopo la straordinaria affermazione dei referendum sull’acqua pubblica, sul nucleare e sul legittimo impedimento non si potrebbe legittimamente impedire ai quattro di fare accordi in nome e per conto e all’insaputa di milioni di lavoratori.
Esistono i referendum abrogativi per le leggi dello Stato ma nulla si può fare contro accordi tra le parti.
Paolo Campioni
Delegato provinciale USB