USB Difesa incontra la Commissione Difesa della Camera dei Deputati nell'ambito dell'esame del disegno di legge per la "revisione dello strumento militare".

L'intervento e la relazione di USB Difesa.

Roma -

Il giorno 20 novembre si è svolto il programmato incontro con le Organizzazioni Sindacali per approfondire i temi del decreto di legge delega riguardante la revisione dello strumento militare già approvato in Senato in data 5 novembre.

Per la complessità dell’argomento e per l'esigua quantità di tempo messa a disposizione per singola Organizzazione, abbiamo consegnato una relazione nella quale abbiamo evidenziato gli aspetti e, nel contempo, indicato le criticità del provvedimento con particolare attenzione al personale civile, nell’auspicio che dallo stesso possano pervenire concreti spunti di riflessione, integrazione e modifiche a nostro avviso necessarie.

Abbiamo esposto sinteticamente le nostre osservazioni evidenziando come il programma per la revisione dello strumento militare contenuto nel disegno di legge delega è indirizzato ad una gestione dei fondi della Difesa prevedendo la razionalizzazione o l’unificazione di comandi, enti e strutture legate alla logistica, alla formazione ed all’amministrazione specialmente dove queste sono analoghe tra Esercito, Aeronautica e Marina, e contestualmente incidendo sul dato occupazionale, con una progressiva riduzione del personale e la richiesta di maggiore efficienza/produttività dei dipendenti non compensata da alcun miglioramento professionale o economico. 

Abbiamo rappresentato la nostra perplessità e contrarietà nel coinvolgere con ulteriori pesanti tagli quella parte di personale civile che in questi ultimi tre anni ha già subito una drastica riduzione di circa 11.500 unità in organico.  

Infatti è emersa l’intenzione di un taglio lineare di 10.000 posti di lavoro che non sono a nostro avviso funzionali per il raggiungimento degli obiettivi del provvedimento, riduzione che si è ampliata con la l.135/2012 "spending review".

La riforma rappresenta una delega ampia, troppo ampia, ma puntuale e dettagliata nell’individuazione di tagli al personale e alle risorse per l’addestramento, l’esercizio, l’efficienza di mezzi ed equipaggiamenti, mentre sugli aspetti che riguardano i sistemi d’arma e i programmi di armamento, quali i contestatissimi F-35, risulta assai approssimativa e indefinita.  

Il rischio di un'ulteriore esternalizzazione delle lavorazioni, visto il pesante taglio di personale, è l'elemento che caratterizza il provvedimento, così come il mancato riferimento alle attività industriali e al loro futuro ruolo.

A tal proposito, è' significativo l'intervento del Comandante Logistico dell'Esercito, Generale Mario Roggio, a seguito dell'indagine conoscitiva sullo stato dei siti e degli stabilimenti industriali della Difesa che riportiamo tra gli allegati.

In conclusione del nostro intervento, abbiamo evidenziato come il ruolo e il prestigio dell'istituzione parlamentare e la necessità di un approfondito confronto su aspetti meritevoli del coinvolgimento di tutte le forze politiche, quali il controllo del Parlamento sul bilancio della Difesa, l’esigenza di assicurare la piena integrabilità dello strumento militare con una politica di difesa comune europea e, non in ultimo, l'esigenza dell'opinione pubblica di una maggiore trasparenza sulle spese ed investimenti, non può trovare ripiego in un provvedimento di legge delega che rischia di definire nuove scelte e strategie fuori dal controllo istituzionale, augurandoci in un rinvio del provvedimento al prossimo Governo.


Il continuo mutare del contesto internazionale e l’attuale situazione economica in cui versa il paese impongono la necessità di adeguare il nostro strumento militare e procedere a un ridimensionamento della struttura della Difesa da quelle voci che più incidono sul bilancio.

Concordando sulla necessità di una revisione dello strumento militare finalizzato al raggiungimento di una maggiore efficienza, abbiamo apprezzato la volontà del Signor Ministro della Difesa nel renderci partecipi direttamente delle motivazioni, contenuti e modalità di una così profonda riforma strutturale.

Negli incontri tenutosi in sede ministeriale, abbiamo rappresentato la nostra perplessità e contrarietà nel coinvolgere con nuovi pesanti tagli quella parte di personale civile che in questi ultimi tre anni ha già subito una rilevante riduzione di circa 11.500 unità in organico.

Infatti è emersa l’intenzione di un taglio lineare di 10.000 posti di lavoro che non sono a nostro avviso funzionali per il raggiungimento degli obiettivi del provvedimento, riduzione che si è ampliata con l’avvento della spending review.

Segnaliamo che su questo tema è in atto un forte stato di agitazione tra il personale civile che, in più di un’occasione, si è ritrovato a manifestare il dissenso al provvedimento.  

Altrettanto apprezziamo, in prossimità di un così rilevante processo di revisione dell’assetto del dicastero, la sensibilità con cui questa Commissione ha ritenuto di coinvolgere tutte le componenti che nello stesso operano e, in considerazione del ruolo che le forze parlamentari possono avere in scelte strategiche come quelle che con questo disegno di legge si vanno ad operare, auspichiamo di poter fornire spunti di approfondimento e di proposta per intervenire nel senso del miglioramento dello stesso.

Il programma per la revisione dello strumento militare contenuto nel disegno di legge delega è indirizzato a una gestione dei fondi della Difesa prevedendo la razionalizzazione o l’unificazione di comandi, enti e strutture legate alla logistica, alla formazione e all’amministrazione specialmente dove queste sono analoghe tra Esercito, Aeronautica e Marina, e contestualmente incidendo sul dato occupazionale, con una progressiva riduzione del personale e la richiesta di maggiore efficienza/produttività dei dipendenti non compensata da alcun miglioramento professionale o economico.

La riforma rappresenta una delega ampia, puntuale e dettagliata nell’individuazione di tagli al personale e alle risorse per l’addestramento, l’esercizio, l’efficienza di mezzi ed equipaggiamenti, mentre sugli aspetti che riguardano i sistemi d’arma e i programmi di armamento, quali i contestatissimi F-35, risulta assai approssimativa e indefinita.

Il ruolo e il prestigio dell'istituzione parlamentare e la necessità di un approfondito confronto su aspetti meritevoli del coinvolgimento di tutte le forze politiche non può trovare ripiego in un provvedimento di legge delega che rischia di definire nuove scelte e strategie fuori dal controllo istituzionale.

Il controllo del bilancio della Difesa, l’esigenza di assicurare la piena integrabilità dello strumento militare con una politica di difesa comune europea e l'esigenza dell'opinione pubblica di una maggiore trasparenza sulle spese e investimenti sono solo alcune delle competenze che necessariamente devono trovare nel Parlamento l’attore principe.   

Questo documento prova a evidenziare alcuni aspetti e, nello stesso tempo, a indicare alle SS.LL. le criticità del provvedimento con particolare attenzione al personale civile, nell’auspicio che dallo stesso possano pervenire concreti spunti d’integrazione e modifica a nostro avviso necessario.

Per prima cosa, teniamo a evidenziare alcune considerazioni in merito ad un punto fondamentale a base del disegno di legge:  

1. Spese militari.

Si afferma che le spese militari in Italia sarebbero lo 0,84% del PIL contro una media UE del 1,61% e che di queste il 70% sia destinato alla retribuzione del personale.

La NATO tende a smentire quest’affermazione, nel documento “Financial and Economic Data Relating to NATO Defence” pubblicato il 10 marzo 2011, dove confronta la spesa militare dei paesi che partecipano all’Alleanza Atlantica dal 1990 al 2010.

Infatti, i dati per l’anno 2010 confermano che la spesa militare in Italia in rapporto al PIL, escludendo la quota destinata all’Arma dei Carabinieri, non è la più bassa dell’UE.

Non solo è maggiore del 0,84%, ma è superiore al dato di Germania e Spagna.

Francia e Regno Unito risultano avere costi superiori all’Italia, ma non possiamo dimenticare che questi paesi, oltre ad essere membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, hanno propri arsenali nucleari i cui costi di semplice mantenimento e messa in sicurezza sono enormemente alti.

L’Italia è al 1,4%, come la Germania e più della Spagna all’1,1%, mentre la media NATO dei paesi europei è al 1,7%, di poco superiore a quella italiana.

Inoltre, l’Italia è uno dei paesi europei che meno hanno ridotto il peso delle spese militari in rapporto al PIL nell’arco di venti anni: in Francia questo rapporto si è ridotto del 30%, in Germania del 38%, in Grecia del 28%, nel Regno Unito del 32%, in Spagna del 25%, mentre in Italia del 20%.

La Central Intelligence Agency, nella sua pubblicazione The World Factbook”, presenta l’elenco della spesa militare di ciascun paese (non solo NATO) in rapporto al proprio PIL, dove l’Italia spende l’1,8% del proprio PIL.

Non possiamo trascurare che, mentre i valori per molti paesi sono aggiornati al 2009, quello dell’Italia è fermo al 2006.

La differenza di stima tra questi due soggetti potrebbe essere attribuibile al fatto che, dal 2007, la NATO non abbia più considerato le spese per l’Arma dei Carabinieri che dipende dal Ministero della Difesa e impiegata in scenari internazionali come i contingenti di Esercito, Marina e Aeronautica.

Pertanto, poniamo delle riserve sulla dichiarazione delle spese militari al solo 0,84% poiché attribuibile ad una svista contabile che sottrae dal calcolo le voci del bilancio del Ministero della Difesa destinate alle pensioni e agli accantonamenti obbligatori, alle funzioni esterne e all’Arma dei Carabinieri: in totale più di un terzo del budget.

Nel contempo, non computerebbe né il fondo per le missioni internazionali ascritte in bilancio al Ministero dell’Economia e Finanze - 1,640 miliardi di euro nel 2011, né i fondi ascritti al Ministero dello Sviluppo Economico per finanziare programmi di nuovi sistemi d’arma - 2,248 miliardi di euro nel 2011.

Riteniamo che l’0,84% del PIL corrisponda, quindi, alle sole spese di personale, esercizio e investimento a bilancio del Ministero della Difesa, mentre le spese - pur espressamente militari - sostenute da altri dicasteri non sono calcolate.

Pertanto, il bilancio della Difesa per il 2012 supererebbe i 23 miliardi di euro per lo stanziamento di:

-      14.111 milioni di euro per la funzione difesa, riferita alle tre armi - Esercito, Marina e Aeronautica;

-         5.850 milioni di euro per la funzione sicurezza del territorio (Carabinieri);

-      3.039 milioni di euro per le missioni all’estero e per i vari sistemi d’arma dal Ministero dello Sviluppo Economico, dagli aerei da combattimento alle fregate.

Alla luce di tali osservazioni è evidente che queste spese non siano secondarie e che, in tal senso, riteniamo si possano fare scelte politiche differenti al fine di incidere diversamente con i tagli e le razionalizzazioni.

Tuttavia, nel fare le nostre considerazioni sull’assetto strutturale ed organizzativo e sulla spesa per il personale cercheremo di astrarci, per quanto possibile, da tali considerazioni più generali e politiche per entrare nel merito di quanto proposto dal disegno di legge.

2. Assetto strutturale e organizzativo della Difesa.

L’art. 2 del disegno di legge delega contiene i principi cui si ispirerà la revisione dell’assetto strutturale e organizzativo della difesa, tra i quali la necessità di conseguire, entro 6 anni, una contrazione strutturale complessiva non inferiore al 30%.

Molti degli enti probabile oggetto di questa casistica e di dismissione sono stati “anemizzati” nel corso degli anni attraverso politiche di esternalizzazione delle attività e di depauperamento delle professionalità.

L’onere di queste scelte, probabilmente, sarà pagato dai dipendenti civili che lavorano in aree depresse dal punto di vista occupazionale e per i quali non sono previste agevolazioni come per la componente militare - ausiliaria, Aspettativa Riduzione Quadri, esonero, norme pensionistiche ancora favorevoli, transiti, etc. 

Sempre nell’art. 2, si ipotizza una revisione dell’assetto organizzativo del Ministero con un’eventuale diversa ripartizione di funzioni e compiti tra le aree tecnico-operativa e tecnico-amministrativa, con conseguenti modificazioni degli uffici.

Questa parte riguarda direttamente il personale civile: è nostro auspicio che le attribuzioni istituzionali e i compiti non siano messi in discussione dal processo di riforma.

Oggi come in passato, rappresentiamo il rischio di “periferizzazione” delle attività per motivi di carenza di personale e vogliamo cogliere l’occasione per esternare il sentimento di orgoglio e consapevolezza del ruolo che ricopriamo come dipendenti pubblici poiché il nostro obiettivo non è lavorare meno, ma essere messi nelle condizioni di lavorare meglio, attraverso un aggiornamento professionale garantito da una formazione costante e il pieno utilizzo di quanto offerto dalle nuove tecnologie, rendendo finalmente concreti, ad esempio, progetti quali la gestione digitale della documentazione amministrativa, la dematerializzazione e le procedure online.

In merito al contenzioso e alla gestione dello stesso che rappresenta una peculiarità per l’area tecnico-amministrativa, ci preme inoltre rappresentare la necessità di rendere le procedure più dirette, snelle e funzionali nell’ottica dei risparmi di spesa, visti gli elevati esborsi per le competenze dell’Avvocatura dello Stato.

In tal senso, proponiamo di attivare l’iter per un intervento legislativo che consenta ai nostri funzionari, come avviene per le controversie in ambito lavorativo, di rappresentare l’Amministrazione in primo grado di giudizio anche per quelle in ambito amministrativo.

3. Spesa del personale.

Dall’analisi dell’aspetto economico sul quale si basa l’azione della riforma, tra le ragioni troviamo la necessità di diminuire l’eccessivo costo della spesa del personale - attualmente al 70% del capitolo - dove il personale militare incide sullo stanziamento di 9.462,3 milioni di euro per il 60,2%, mentre il personale civile per il solo 9,8%.

La riforma prevede il recupero di risorse economiche con il taglio del 20 per cento degli organici che fanno capo alla Difesa, passando da 183mila a 150mila militari e da 30mila a 20mila civili.

Occorre evidenziare che la spesa è aumentata del 2,2% per il personale militare e diminuita del 5,4% per quella civile poiché gli organici della nostra componente, nell’ultimo triennio - applicazione L.133/2010, L.25/2010, L.16.09.2011 n.148 e L.135/2012 - hanno subito una drastica riduzione di circa 11.500 unità, per una consistenza attuale reale di circa 28.000 dipendenti.

E’ evidente e oggettivamente rilevante il pesante contributo già reso dal personale civile, il massimo che si poteva chiedere e che ha avuto come riflesso un maggior carico di lavoro e di responsabilità a fronte di blocco dei contratti e di carriera.

Il previsto taglio di 10.000 lavoratori civili, seppur nell’arco di 12 anni con l’utilizzo della mobilità interna/esterna, del part-time e del ricorso a forme di lavoro a distanza, risalta come pesante tributo della componente civile per la soluzione di un problema meramente economico.

Sembrano altri gli intendimenti, poiché si prevede, fissati gli organici a 20.000, di alimentare gli stessi con assunzioni nei limiti stabiliti dall’attuale regolamentazione del turn-over e attraverso il transito di circa 10.000 militari, tra non idonei al servizio e in esubero, utilizzando nei fatti gli organici della componente civile come ammortizzatori sociali.

Tale transito dovrebbe poi avvenire inquadrando “in organico” gli interessati secondo tabelle di equiparazione funzionale, attualmente in elaborazione, altre rispetto a quelle attualmente in vigore e già fortemente penalizzanti, nell’equiparazione, per le nostre professionalità.

Per questi motivi, riteniamo che l’unica equiparazione possibile sia quella che tenga conto dei requisiti d’accesso alle nostre aree funzionali e dei requisiti richiesti al momento del reclutamento per la componente militare, altrimenti si assisterebbe ad un gravissimo depauperamento delle professionalità civili e ad una saturazione dell’area apicale, negando in prospettiva ogni possibilità di progressione di carriera alla componente civile.

Quest’ulteriore ridimensionamento significherebbe mettere in discussione o esternalizzare le competenze del personale civile, quando sarebbe invece auspicabile ed opportuno un piano di assunzioni mirato, superando il blocco del turn-over, che garantisse nel tempo quantomeno le attuali dotazioni organiche e nello stesso tempo permettesse di reinternalizzare quelle lavorazioni che sono andate inutilmente se non dannosamente perdute.

Sarebbe vantaggioso rendere concreto il sempre promesso processo di civilizzazione del ministero, obiettivo fallito della precedente riforma Andreatta, che determinerebbe notevoli risparmi restituendo agli impieghi operativi quei militari impropriamente impiegati in mansioni amministrative e tecniche.

E’ nostra convinzione, frutto dell’esperienza, che se si procedesse nella direzione indicata dal disegno di legge, senza i correttivi da noi proposti, si produrrebbe l’effetto che le risorse ricavate con il taglio di una parte del personale andrebbero solamente a coprire le maggiori spese previste per l'esercizio (formazione e manutenzione) ed investimento (sistemi d'arma).

Sul bilancio dello Stato, al momento, incombono ben 71 programmi di ammodernamento e riconfigurazione di sistemi d'arma, che ipotecano la spesa bellica da qui al 2026.

Da un lato c'è un comparto già fortemente penalizzato dal punto di vista dei tagli alle risorse per la formazione, l'addestramento e l'esercizio, dall'altro non c'è il minimo intento di diminuire le ingenti spese militari.

Nel provvedimento, se è posta in risalto la necessità di un’adeguata formazione del personale, considerata di vitale importanza per il raggiungimento di maggiore professionalità ed efficienza dei dipendenti civili in un quadro di un crescente impiego di tecnologia avanzata, non troviamo alcun riferimento alle risorse concretamente disponibili.

Un enunciato divenuto tradizione della politica del dicastero negli ultimi quindici anni di storia, rimasto tale fino ad oggi, ma con la concreta e nefasta conseguenza di giustificare solo la crescente e continua esternalizzazione dei servizi e delle funzioni svolte generalmente dal personale civile.   

A questo si aggiunga il dogma, divenuto costante pratica, del minor costo delle lavorazioni effettuate dal privato, e la mancata realizzazione del processo di civilizzazione del dicastero, rimasto solo un enunciato.

Forse più per obbligo congiunturale che per convinzione profonda, la risposta fornita non entra nella sostanza delle questioni ma continua ad attribuire le responsabilità dei costi al personale.

In tal senso e in ultimo riteniamo che anche sull’art.4 si possano e si debbano fare opportune modifiche e integrazioni.

Infatti:

4. Disposizioni in materia contabile e finanziaria.

Evidenziamo come l’art.4 del decreto di legge delega preveda alcune norme di incremento delle entrate finanziarie del Ministero ma quanto poco faccia riferimento alla riduzione di sprechi e privilegi che dovrebbe rappresentare un imperativo d’ordine economico e morale in una fase in cui a cittadini e lavoratori sono richiesti sacrifici importanti.

Fatte le suddette osservazioni nel merito del provvedimento, non possiamo esimerci da evidenziare alle SS.LL. che da anni il personale civile attende fiducioso una maggiore equità ed equilibrio nei confronti di una componente professionalmente preparata, quotidianamente impegnata, rispettosa dei compiti e delle funzioni assegnate.

In tal senso auspichiamo che i lavori di questa Commissione possano favorire un miglioramento del provvedimento nella direzione di un’adeguata riduzione dei costi e un ridimensionamento della struttura della Difesa, evitando ricadute occupazionali, partendo da quelle voci che più incidono sul bilancio ma con:

-       la piena attuazione, attraverso idonei e veri strumenti operativi, del processo di valorizzazione professionale del personale civile di tutte le aree del Dicastero;

-       il trasferimento delle conoscenze e delle abilità operative del personale a nuove assunzioni o a figure professionali avviate con accordi territoriali di formazione;

-      l’internalizzazione delle lavorazioni anche in collaborazione con soggetti pri ati "adeguati" laddove sia necessaria una pronta risposta di natura operativa;

-       l’avvio di un percorso che punti a finanziamenti selettivi attraverso i quali si definiscano le priorità e le reali necessità del settore, investire minori risorse ma meglio;

-      la razionalizzazione delle risorse e destinando parte di quelle stanziate per armamenti alla formazione, addestramento e riqualificazione del personale del dicastero.

 

Roma, 20 novembre 2012