I consulenti del Ministro Di Paola faranno quadrare i conti della Difesa.
Il Ministro della Difesa Di Paola torna nuovamente alle Camere per sollecitare l'approvazione della riforma dello strumento militare entro il termine della legislatura.
Il disegno di legge è attualmente in discussione a Palazzo Madama, un iter spedito e, apparentemente, favorito dai partiti della maggioranza.
Nonostante questo, l’ammiraglio si è sentito in dovere di richiamare le commissioni Difesa di Camera e Senato riunite per un’audizione sulle missioni internazionali e gli interveniti di cooperazione.
Di Paola ha tracciato il quadro degli impegni prevalenti delle forza armate italiane, sottolineando che nei diversi teatri operativi c’è “un impegno responsabile, apprezzato e capace, perché negli anni abbiamo sviluppato un adeguato strumento militare".
La riforma prevede una diminuzione del personale civile, della truppa e dei generali per una razionalizzazione del patrimonio esistente.
Risparmi di spesa a cui si è però aggiunto un esborso non previsto.
Nella legge di stabilità licenziata dal Consiglio dei Ministri è prevista l’autorizzazione a contribuire al restauro e all’ammodernamento della sede Nato.
Un impegno pluriennale dal valore di diversi milioni di euro.
La cosiddetta spending review impone alla Difesa anche una diminuzione del 20 per cento delle dotazioni organiche dirigenziali.
La disposizione legislativa comporterà quindi l’unificazione delle attuali tre direzioni generali che gestiscono il personale, Persomil per quello militare, Persociv per quello civile e Previmil per la previdenza, in un’unica direzione generale.
Recentemente USB aveva denunciato l’esistenza di una consulenza tra l’Amministrazione Difesa e una multinazionale della revisione contabile.
Non tarda ad arrivare l'interrogazione del senatore Gian Piero Scanu, membro della Commissione Difesa in Senato, che punta il dito in questa direzione.
“Il Ministero – scrive il senatore – coinvolto dalla spending review anche sotto il profilo di una significativa riduzione di personale (...), avrebbe deciso di affidare ad una società privata di consulenza, la Price Waterhouse Cooper, lo studio per realizzare la fusione tra le tre direzioni generali, ad un costo che si aggirerebbe intorno ai 400.000 euro".
Per intervenire non bastano le leggi e i conseguenti decreti ministeriali, non servono i dirigenti del ministero ma un esterno – lautamente pagato – che studi come razionalizzare il Dicastero.
Nella sua interrogazione, Scanu chiede di sapere anche quali sono state le procedure adottate per la scelta di questo nuovo partner dell’Amministrazione.
Una decisione incomprensibile che pone due ipotesi: o si è scelto di favorire una società esterna, oppure si sono riconosciuti i limiti del corpo amministrativo del Ministero della Difesa.
Era meglio “aiutare” una società che fattura più di venti miliardi di dollari a far quadrare i propri conti anzichè risparmiare risorse investendo sui propri dirigenti.
Aspettiamo la risposta dell'ammiraglio Di Paola che dovrà spiegare a cosa si ispira la gestione contabile del Ministero.